Una giornata speciale

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5.30 e la sua camera era inondata da una luce dorata come solo l’alba della sua città sapeva creare.*

Automaticamente allungò il braccio in cerca di quell’oggetto fastidioso. La luce prepotente stava avendo la meglio sul buio della sua cameretta e gli oggetti assonnati della sua infanzia cominciavano a svegliarsi. Con gli occhi socchiusi per il sonno guardò la sveglia, sbadigliò, si stiracchiò un poco e poi sorrise. Trasse un respiro profondissimo e il profumo del dopobarba del suo papà le inondò la mente: che gioia le dava quella sensazione! Anche quella mattina si era alzato molto presto per andare a lavoro ma non si dimenticava mai di darle un bacio prima di uscire.

Si mise a sedere sul letto e guardò fuori dalla finestra;  il panorama che le veniva offerto non era certo dei migliori: case, strade, case e ancora strade. Ma Miriam era speciale: non sapeva accontentarsi di una realtà grigia e mediocre  e, tra quei palazzi, proiettava i suoi sogni e i suoi colori. Certo, era speciale, ma aveva anche un tremendo difetto: era sempre in ritardo. Una rapida occhiata alla sveglia le bastò per capire che non era quello il momento di perdersi in chiacchiere; con un salto scese dal letto e corse in bagno. Si fece una doccia veloce e tornò in camera per scegliere i vestiti da indossare. Optò per un abbigliamento pratico e funzionale: jeans, scarpe da ginnastica e la maglietta gialla dell’associazione.

Quella che le si prospettava davanti sarebbe stata una giornata indimenticabile: la aspettava con ansia da mesi ormai. Non poteva credere che fosse arrivata! Era entrata in contatto tramite alcuni amici con una cooperativa che si occupava di gestire alcuni dei beni confiscati alle mafie nel suo territorio. La cosa l’aveva affascinata fin da subito e, telefona qua, telefona là, era riuscita ad entrare in contatto col responsabile della cooperativa che gestiva il bene che stava più vicino a casa sua e farsi dare un appuntamento per poter dare loro una mano. Mirko, così si chiamava il ragazzo con cui aveva parlato, le aveva spiegato che il lavoro da fare era moltissimo. Il bene, una piccola villetta abbandonata, era in condizioni pessime: se ne stava lì, inutilizzato da anni ormai, e andava, se non buttato giù, restaurato del tutto. Il duro lavoro, nonostante la tenera età di 20 anni, non la spaventava.

Erano le 7:30. Scese giù in strada e il sole che le illuminava la via sembrava salutarla ridendo. Tutto aveva un’aria diversa, perfino quelle cose che non era mai riuscita ad accettare le sembravano migliori. Si sentiva fiera di sé e di quel luogo così terribilmente problematico. Si sentiva pervadere dalla voglia di mettersi in gioco. La sua voglia di farcela bruciava libera. Salutò cortesemente i proprietari dell’alimentari sotto casa, che l’avevano vista bambina, i quali, dall’altro lato della strada, le urlarono dei complimenti in dialetto. Si fermò al bar per prendere la colazione: nella fretta di uscire si era dimenticata di mangiare qualcosa e lo stomaco cominciava a rivendicare la sua presenza.

- Un cornetto e un cappuccino a portar via, grazie! – disse al ragazzo che la stava servendo.

Mentre sbocconcellava il cornetto la sua mente iniziò a vagare: aveva mille idee su come poter ridare vita a quella villa e voleva proporle subito agli altri.

Si trovava ormai a poche centinaia di metri dal luogo in cui si trovava il casale, non era molto distante dal centro, ma comunque in periferia, quasi campagna. C’era tantissima gente e altrettanta confusione. Non capiva.. cercò di avvicinarsi più che poteva. Nel frattempo cercò di ascoltare i discorsi delle persone tra la folla: qualcuno la sera prima si era introdotto all’interno del bene e lo aveva danneggiato. Era incredula. Finalmente arrivò al cancello della villa e si unì al cordone che avevano creato i ragazzi della cooperativa per non far entrare i giornalisti che pian piano stavano arrivando.

Il giardino davanti era completamente bruciato, le imposte di porte e finestre erano state divelte, i muri imbrattati con tutti gli insulti possibili e i sanitari all’interno della casa erano stati portati via. Intorno alla struttura regnava il caos. Nel frattempo erano arrivati altri ragazzi. Miriam non ci stava capendo più nulla. Le sembrava di vedere polvere ovunque e si sentiva sconfitta in partenza. Conosceva solo Mirko e qualche altro ragazzo, con cui aveva frequentato il liceo. Avevano tutti un’espressione vitrea negli occhi. Non era certo quello che si aspettava di trovare quando, poche ore prima, aveva provato ad immaginare la sua giornata.

Di colpo tutto le sembrò buio e freddo: guardando quel luogo distrutto le sembrava di rivedere la sua gioia bambina deturpata e abbandonata. L’euforia di quella mattina aveva lasciato spazio alla rabbia: com’era possibile che quel mondo fragile che tante volte aveva dipinto nei suoi sogni fosse crollato, proprio adesso, come un castello di carte, davanti ai suoi occhi? Il sole ormai le bruciava gli occhi e qualche lacrima temeraria si lanciava sullo scivolo delle sue guance. Il suo sguardo turbato incontrò quello di Alì, eritreo, giunto in Italia circa 10 anni prima. Lui era qualche anno più grande, ma erano comunque finiti in classe insieme. Alì era arrivato da solo e la cooperativa lo aveva accolto e gli aveva dato una casa. Si aspettava di leggere nei suoi occhi gli stessi sentimenti che imperversavano nella sua anima, ma si stupì nel trovarli serenamente fermi. Il suo sguardo era serio e profondo ma allo stesso tempo caldo e rassicurante. Le si avvicinò e la strinse forte.

- Non ti preoccupare signorina.

Così era solito chiamarla

- Siamo forti, andrà tutto bene! – le disse con quell’accento rotondo che la divertiva tanto.

Lui che aveva perso tutto e non aveva più nulla era ancora in grado di sperare. Si asciugò gli occhi e oltre le spalle grandi del suo amico vide che Mirko e gli altri stavano organizzando vari gruppi: chi doveva parlare con la stampa, chi doveva far smaltire la folla, chi doveva valutare i danni per poter iniziare la manutenzione...

Qualcuno tra la folla si avvicinava offrendo il proprio aiuto. Carlo li mandava da Luca che aveva allestito un piccolo stand per raccogliere dati e firme.

Pian piano, tra il sole e la polvere, vedeva di nuovo il casale che avrebbe voluto ricostruire. Si immaginava il giardino fiorito e le mura dipinte di un tenue color pastello: dentro, le stanze tutte colorate per accogliere tanti bambini. Miriam si rimboccò le maniche e respirò forte. Non sarebbe scappata, non avrebbe ceduto. Voleva combattere, ora più che mai, per quella realtà che adesso sentiva come casa sua. Andò da Mirko e gli chiese cosa dovesse fare: lui le rispose che per quella mattina il lavoro era semplicemente di organizzazione. Bisognava decidere come proseguire per la campagna mediatica, organizzare riunioni, ma soprattutto eventi per finanziare l’impresa di ricostruzione. Era necessario comprare gi attrezzi giusti e contattare delle ditte per farsi consigliare come muoversi.

Per ora serviva solo che lei si facesse venire delle idee su cosa poter organizzare per raccogliere fondi. Miriam comunque rimase ancora un bel po’, fino a pomeriggio inoltrato, per risistemare il possibile: cercarono di dare una pulita e portarono via tutto ciò che era rotto e inutilizzabile.

Quella sera, tornata a casa, dopo essersi fatta una doccia, parlò fino a tarda notte con i suoi genitori. Era stata un’esperienza che l’aveva scossa nel profondo, le aveva fatto toccare con mano quanto la realtà potesse essere dura e fredda. Aveva fatto i conti, seppur in parte, con la debolezza dell’uomo, con le sue bassezze e ne era rimasta colpita. la sua indole sognante e ingenua le suggeriva però che, come aveva potuto vedere, c’era molto nell’uomo che andava salvato: la solidarietà, il senso del sacrificio, la gioia e la legalità. Voleva tuffarsi a capofitto in un’avventura che si sarebbe rivelata, alla fine, una lotta contro se stessa. Non trovava altro senso alla vita se non quello di prendervi parte totalmente: voleva lasciarsi coinvolgere completamente da una cosa che profumava di pulito.

Andò a letto serena, immaginando, oltre quelle case e quei palazzi, il giardino che la nonna le descriveva sempre quando le raccontava della sua giovinezza. Era un giardino per lo più incolto e pieno di erbacce ma i fiori che vi nascevano erano forti e sprigionavano un profumo così intenso che la nonna, quando glielo raccontava, sembrava perdersi tra quelle fragranze. I loro colori vivaci le riempivano ancora gli occhi.


Matilde Santarelli

*Incipit tratto da Se solo fosse vero di Marc Levy