Isabel

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5:30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare*.

Isabel era una bambina molto fortunata e felice finché, a 5 anni, non conobbe la morte. La sua non fu una conoscenza palese, non sapeva chi questa fosse né perché colpisse proprio lei in quel momento felice della sua vita, portandole via il suo adorato nonnino che non le rispondeva più.

Isabel, improvvisamente, si ritrovò a piangere seduta su di un tavolino, in una stanzetta stretta e senza finestre situata alle spalle della stanza del nonno, molto più grande, luminosa e ariosa. Tra Isabel e suo nonno c'era solo un sottile e impenetrabile muro divisorio. Lei non riusciva a capire perché, mentre il nonno dormiva, c'erano tante persone che silenziosamente sedevano nella stanza quasi ad accerchiare il letto dove dormiva suo nonno.

Isabel piangeva senza saperne il motivo e circondata dalle zie, lontane parenti di sua madre che le avevano insegnato a leggere, provava un forte dolore al petto, proprio lì, dove c'era il cuore.

- Noi sappiamo perché piangiamo, Isabel, ma tu perché piangi ? - le chiesero le zie.

- Non lo so, mi fa male qui! - rispose Isabel che chiese di scendere per andare nell'altra stanza a dare una caramella al suo adorato nonnino che però non si svegliava.

Erano le 5:30 quando suonò la sveglia. Isabel si rese conto che aveva, per la prima volta, rivissuto quel giorno. Per tutta la settimana Isabel pensò a quel sogno. Per quale motivo lo aveva fatto? Cosa voleva dirle il suo inconscio? Spesso, nelle sere seguenti si addormentò sperando di riprenderlo. Chiudeva gli occhi e nell'attesa di addormentarsi riviveva il suo essere bambina fino a non capire se era sveglia o dormiva. Si ritrovava in casa del nonno e risaliva quel breve tratto poco distante dalla sua stanzetta senza finestre che la portava nell'orto. Le batteva forte il cuore non per la salita, ma perché impaurita. Per andare nell'orto, infatti, doveva percorrere un breve tratto in salita che la conduceva in un androne, oltrepassato il quale si accedeva a una piccola scalinata a due rampe, con scalini che a Isabel sembravano molto alti.

La seconda rampa di scale finiva in un corridoio stretto, lungo e buio. A destra e a sinistra del corridoio c'erano delle grandi porte, quattro per l'esattezza e l'ultima, dava accesso all'orto del nonno. A Isabel le porte di sinistra non la spaventavano per nulla, le conosceva, erano le stanze delle sue zie, ma quelle di destra la terrorizzavano. Nella prima stanza a destra c'erano le ricamatrici giganti, due signorine circondate da tessuti di lino e sempre intente a ricamare. La seconda stanza a destra, prima di arrivare all'orto, era abitata da Carmenella. Carmenella le faceva paura, tanta paura. Anche questo non capiva Isabel. Perché quella donnona, grossa, sempre vestita di nero per aver conosciuto la morte prima di lei, dal volto pallido e rugoso le faceva così tanta paura? Isabel doveva respirare forte, raccogliere tutto il coraggio che solo il grande amore verso il nonno le poteva dare e correre per superare l'ostacolo Carmenella, ma lei era sempre pronta, per quanto Isabel facesse piano per non farsi sentire e invisibile per non farsi vedere, ad aprire la porta e chiederle cosa facesse e dove andasse. Superato l'ostacolo di Carmenella, Isabel si ritrovò nella stanza adiacente all'orto dove ricevette dalle zie il suo primo regalo per aver imparato a leggere, un libro con dedica. Il titolo del libro era "Un birichino in collegio" e la dedica le piacque così tanto che decise di ricopiarla e nasconderla come un tesoro, oltre che nel proprio cuore, in una scatola di latta insieme ad un tornese che le aveva regalato suo nonno ed un biglietto con sopra scritto: "Proprietà di Isabel". Si guardò intorno ed essendosi assicurata di non essere vista soprattutto da Carmenella e dalle Ricamatrici giganti dalle vesti di lino ricamate, scavò una buca e seppellì il suo tesoro. Lesse con avidità il suo libro e fantasticò sulla dedica prima di riporla per sempre nel suo cuore. La dedica diceva:" Chi legge viaggia sul mondo, chi scrive lo costruisce."

Decise che sarebbe ritornata a casa dei nonni per capire cosa le sfuggisse e il perché del suo sogno. Voleva farlo a occhi aperti, sul serio, quel viaggio. Prese, così, due giorni di ferie e partì. Partì per ritornare nel luogo della sua infanzia felice, nonostante l'incontro con signora Morte, alla ricerca di un significato alla sua storia, alla ricerca del suo mondo infantile che affiorava dai ricordi per entrare nella sua quotidianità, fatta di cose reali, talvolta grigie e concrete. Già, il suo mondo infantile, felice e colorato, ricco d'amore e di qualche dolore al petto. Quel mondo bellissimo riaffiorato per ricordare a Isabel che era quella la base della costruzione del suo essere se stessa. Voleva ripercorrere quel corridoio buio, tornare nel giardino dei sogni, dell'età spensierata e felice, senza paura, con il cuore che le batteva forte per la gioia di ritrovare quei luoghi della sua infanzia che l'avevano fortificata, nonostante l'incontro con signora Morte, e gridare nel corridoio: "Eccomi, sono tornata da adulta per dirvi che credo ancora nei sogni".

Ebbe molto da pensare e ricordare nel percorrere quei 300 km che la separavano da quei luoghi, perché ora abitava in un'altra frenetica, rumorosa e talvolta grigia città dell'Italia centrale. Ripensò anche a tutte le volte che cambiando città aveva dovuto cambiare case, abitudini, modi di lavorare e posti in cui risvegliarsi. Ripensò anche alla sua maestra della primina e seconda, la Signorina Caselli, a tutte le amiche della scuola media, gli amici del liceo e dell'università che ora erano sparsi in molte città da nord a sud, ma ogni cosa la riportava a quel periodo costruttivo e felice che era stata la sua infanzia. Rivedeva il cespuglio di uva spina, risentiva l'odore del girfoglio con il quale zia Ersilia faceva la pizza con l'erba. Ricordava le arrampicate lungo la scala che dava sul mezzanino-dispensa per andare a mangiare le zollette di zucchero, gli scherzi di zio Felice costretto sulla sedia a rotelle per una scheggia di granata che gli si era conficcata nella schiena, il rosario che ci faceva dire nonna Consiglia prima di andare a letto, i pizzicotti che dava per svegliare chi si addormentava durante la preghiera e l'odore del braciere sul quale veniva messo un parapallo, un semicerchio di legno leggero, sul quale venivano appoggiati i panni ad asciugare. Ricordi, ricordi e ancora ricordi...

Ogni tanto il fischio del treno interrompeva il suo ripercorrere il vissuto, in fondo Isabel aveva scelto il treno proprio per dare spazio e lasciarsi andare a tutti i suoi ricordi. Arrivò alla stazione dopo molte ore.

- Ormai è tardi, ci penserò domani a riprendere il viaggio. Voglio essere sveglia e riposata – disse tra sé.

Pernottò lì vicino e andò a dormire. La mattina si svegliò di buon ora, si affacciò alla finestra e vide una nuova città, diversa da quella che aveva lasciato molti anni prima. Prese l'autobus e si diresse verso la casa del nonno.

Il cuore di Isabel batteva forte e la strada le sembrava più lunga, troppo trafficata e cementificata. Scese alla vecchia fermata e ripercorse la via principale e unica del paese dove tranquilla camminava da bambina, da sola  perché tutti la conoscevano e la proteggevano. Stranamente era rimasto lo stesso paese, la stessa strada, lo stesso palazzo antico abbandonato, ma la casa del nonno era totalmente cambiata. La stanza delle Ricamatrici giganti e di Carmenella non c'erano più e non c'erano più neanche loro. Neanche il corridoio stretto e buio c'era più. Tutto era stato inglobato in un magnifico casale luminoso e caldo che era diventata la casa di zia Consiglia, rimasta lì.

Nel salone svettava in cima alla parete una scatola di latta malandata con un tornese ed una cornice che racchiudeva una scritta infantile: "Chi legge viaggia sul mondo, chi scrive lo costruisce." Il tesoro di Isabel, il suo tesoro che credeva irrimediabilmente perduto, era invece stato ritrovato e custodito. Improvvisamente Isabel capì. Presa dalla quotidianità e dal grigiore della routine aveva trascurato i suoi sogni di bambina. O forse non era così. Certo non era diventata una scrittrice famosa o un medico importante, ma alcuni sogni li aveva realizzati mentre di molti altri se n'era semplicemente dimenticata. La zia arrivò con il suo fare lento dovuto all'età e la portò fuori dalle sue riflessioni.

- Quasi non credo ai miei occhi - le disse la zia - sei diventata adulta Isabel!

- Già, diciamo pure anziana - le rispose Isabel.

Presero il caffè insieme e dopo una full immersion di ricordi dove apprese che, da piccola, voleva come merenda "pane e marmellata" e come bevanda "latte e vino", Isabel andò via lasciando dietro di sé la casa del nonno che ora era della zia, Carmenella, le ricamatrici giganti e tutti i suoi sogni irrealizzati di bambina felice. Tornò nella sua città natale, tanto era lì a pochi km.

Passeggiando per il largo e bellissimo Corso, ricordava la sua famiglia d'origine, ormai disgregata e inesistente, le sue amiche delle scuole medie, rigorosamente suddivise in classi femminili e maschili, il liceo con classi miste che dava l'opportunità di avere anche compagni di scuola maschi. Ricordi, ricordi, tantissimi ricordi.

Il fatto di sentirsi adulta, proprio non le andava giù. Le mancavano quei giorni spensierati in cui l'unico impegno era lo studio, le risate con le amiche, i budini e il tè a casa di Rossana o le marachelle che combinavano facendo finta di studiare.

Isabel passeggiava immersa nei suoi ricordi quando si sentì chiamare.

- Isabel! Sei proprio tu?

Isabel lo guardò con un fare inquisitorio come per dirgli “e tu chi sei?”, ma per non essere scortese lo guardò chiedendosi chi fosse.

- Sono Maurizio, Maurizio G. – disse lui quasi leggendole nel pensiero.

Isabel ricordò quel nome più che quel viso invecchiato e riconobbe un suo compagno di liceo che le era pure molto antipatico.

- Come mai da queste parti? Sono anni che non ti si vede, sei sparita! - continuò lui.

Isabel gli spiegò che aveva semplicemente vissuto la sua vita e mentre lo diceva, sentiva di essere adulta e che anche il suo viso era invecchiato.

Maurizio le fece ricordare il suo essere liceale all'avanguardia per quei tempi, in quanto guidava moto di grossa cilindrata, vestiva con minigonne, short e pantaloni a zampa di elefante, tipici di quegli anni. Mentre guidare una moto proprio no, in questo era l'unica e lo era rimasta per moltissimi anni ancora.

Isabel, che pensava di essere scialba e inutile anche in quegli anni, provò un senso di orgoglio e sentì un inaspettato senso di ammirazione nei suoi confronti da parte di Maurizio che la meravigliò e le fece piacere nello stesso tempo. Pensò che quell'antipatico di Maurizio che al liceo era sempre tutto elegante come un vecchio d'altri tempi, col papillon e vestito a giacca, potesse esserle utile. Gli chiese se avesse contatti con i vecchi amici di scuola e lui gliene indicò alcuni. Tra questi c'erano le sue amiche del cuore, le tre e poi quattro dell'Ave Maria, sempre insieme a combinare guai. Le prese un entusiasmo antico e nuovo contemporaneamente. Isabel pretese i loro numeri di telefono e, dopo aver flirtato un po' con il loro ricordo, decise di congedare Maurizio ed attaccarsi al telefono. Iniziò col chiamare Rossana C., una delle quattro per intenderci. Il telefono squillava, ma Isabel lo sentiva appena tanto il battito del suo cuore era rumoroso. Il telefono smise di squillare.

- Pronto – disse una voce squillante

- Sono Isabel ... - rispose con voce tremante dall'emozione – cerco…

Non riuscì a finire la frase che Rossana, le rispose urlando, emozionata quanto lei,

- Isabel, sapessi da quanto ti cerco... Ho contatti con le altre compagne e mancavi solo tu, ma finalmente ti ho ritrovato!

Isabel era incredula, frastornata dal sentirsi balzare dall'essere adulta, bambina, liceale e ancora anziana. Viva, ecco come si sentiva, viva e felice di avere una vita straordinaria ed emozionante nel suo continuo "oscillare tra la noia e il dolore" come diceva qualcuno. Decisero di vedersi di nuovo tutte insieme le tre dell'Ave Maria, visto che la quarta era da rintracciare. La quarta compagna, Concettina, era amica di Isabel già dalla scuola media. Isabel era fortemente dispiaciuta di dover tornare nella città dove viveva e lavorava ora, ma per la prima volta dopo quasi mezzo secolo tornava volentieri nella sua città natale, dove pensava di non aver più nessun legame affettivo. Rossana avrebbe fatto tam tam con le altre compagne per fissare un appuntamento conciliante con gli impegni di tutte per potersi ritrovare e trascorrere una serata a raccontarsi da dove si erano lasciate. Quel mezzo secolo di vite vissute separatamente su strade diverse, era svanito in una telefonata.

A Isabel sembrò che quel mezzo secolo fosse passato in un secondo e mentre si incamminava sulla strada del rientro in città sorrideva da sola, felice come da bambina e pensando che, in fondo, il Maurizio adulto non fosse così antipatico come lo era da liceale. Il senso della sua vita ora le sembrava diverso. Aveva lavorato freneticamente e di batoste ne aveva avute tante, ma in fondo sentiva di aver giocato bene il gioco della vita, aveva sempre detto apertamente e senza mezzi termini ciò che pensava, aveva lottato per quello in cui credeva, era stata leale, sincera e sempre sé stessa.

Isabel sapeva che non poteva essere la presunzione a farle pensare ciò, ma un'analisi attenta e precisa di tutto ciò che era stata la sua esperienza di vita fino allora. Lo squillo del telefono la fece trasalire, era Rossana. Aveva rintracciato le altre compagne, il gruppo si era ricompattato, anzi si era allargato a Giusi e Gaetano, altri amici ed era ansioso di rivederla tanto quanto lo era Isabel di vedere loro. Si dettero appuntamento tre settimane dopo davanti alla Chiesa del Rosario.

- Con il piattino in mano per riconoscerci – disse Isabel.

Ma non ce ne fu bisogno, si riconobbero subito e, dopo essersi rannicchiati in un abbraccio stritolante di emozione, amore e commozione, andarono tutti insieme al bar a raccontarsi. Quelli che gli altri vedevano come un gruppo di anziani amici in realtà erano un gruppo di giovani studentelli di liceo che ridevano grassamente raccontandosi da dove si erano lasciati ieri.

Isabel e i suoi amici ritrovati si vedono ancora periodicamente, a ogni incontro si raccontano e si scoprono ancora adolescenti dentro.

È così che si sente Isabel ancora oggi e sempre più quando è con le sue amiche e amici.

 

Sofia Morena

*incipit tratto da Marc Levy "Se solo fosse vero"