Una presenza

Non lo guarda più. Ormai non lo vede neanche più. Sa che c’è. Quella sagoma lì vicino è viva, presente. Russa. E’rassicurante. Sente il fruscio delle lenzuola quando lui si muove attentissimo a non sfiorarla.

 

Da tempo ormai ognuno dei due occupa la sua metà di quello spazio che una volta era così caldo, accogliente e nel quale era naturale fondersi. Ora è come se una invisibile linea di demarcazione impedisse a ciascuno dei due di sconfinare nel territorio dell’altro. Un muro invalicabile.

 

La gola di Silvana è stretta da un nodo e i suoi occhi inariditi e disincantati si rifiutano di regalarle quelle lacrime liberatorie che aspetta da tempo. Cristallizzate anche le lacrime, testimoni mute dello sbriciolarsi di una vita, dell’annientarsi di un sogno.

 

Quando era più giovane era così facile piangere e come si sentiva più leggera, dopo.

 

Aveva dodici anni Silvana quando sua mamma le disse “Papà cambia lavoro. Si trasferisce in un’altra città. Presto lo raggiungeremo.” Non lo avrebbero mai raggiunto e lei non avrebbe più rivisto il padre.

 

 

Parecchi anni dopo, due occhi grigi, la barba, la chitarra, la motocicletta, la borsa Tolfa a tracolla e via… la vita può ricominciare! La mamma tutta trucco e gioielli, commentava: “Come ti sei ridotta, figlia mia.” guardando con disprezzo le sue Clark senza tacco. Ma lei continuava a costruire la sua nuova vita su quegli occhi grigi e su quella barba. Era felice.

 

 

Un brutto giorno, il primo insulto volgare. La bella bocca incorniciata dalla barba ramata, diventata improvvisamente ostile. Poi, i silenzi prolungati e infine…

 

                                                                        o o o

 

Ancora insieme, ma perché?

 

(Rossana Bonadonna)

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