In bilico

Anemon, dopo il suo incidente tragico, amava stare nella contemplazione del mare, seduta su una sedia con lo schienale alto, le gambe rannichiate sul suo corpo longilineo. Si faceva sollevare insieme alla sedia, dai suoi amici della casa al mare.

Un po’ capricciosa, un po’ musona, non tirannica, però a volte sull’orlo. Aveva sempre avuto un rapporto strettissimo, un tutt'uno col mare; negli ultimi anni più contemplatrice che attiva nell’oceano, la risacca operava come una macchina di ricliclaggio delle lacrime di ogni tipo.

Non era proprio triste. Oppure, sì, lo era. Però a volte no. La sua nuova vita di «disabile» non era del tutto diversa, a livello interiore, rispetto alla sua vita di equilibrista di prima.

Rottura dell’equilibrio (è il caso di dirlo), caduta dal filo in alto, perdita del uso delle sue gambe, e del suo lavoro… Attimo di distrazione? Trascuranza delle misure di sicurezza (era sola quando è accaduto, avrebbe dovuto provvedere lei), trascuranza di lei stessa (troppe feste l’una dopo l’altra, qualche centigrammo o un chilo in più)?

L’ora non era più alle analisi. «Stazionario» era l’aggetivo che usava, riprendendo i medici, ogni volta che uno le chiedeva l’eterno «Come va? Come stai?».Ci metteva cosi tanta fatica a rispondere, che penava perfino nell’articolazione dell’item. «Cosa?!» chiedeva allora l’interlocutore . «Non ho capito». E allora lì, era ancora peggio, doveva ripetere «stato stazionario». Certo che era comodo come riassunto, però la parola non la viveva, era vuota: Anemone era un veicolo di flussi energetici potentissimi, altro che un punto fermo (stazionario, stazionare, stazione)! Naturalmente, nello «stato stazionario», c’è l’implicito di potenziale inclinazione, da un lato o dall’altro. Ed era proprio così, che si sentiva, in bilico. A volte andava meglio a volte peggio, chi la frequentava intimamente avvertiva queste fluttuazioni, gli altri no. Era su un cammino, doveva ancora fare tanta fisioterapia, nonché tanto yoga.

Frequentava un uomo, Jorge. Con lui, era in bilico (ancora!). Domenica scorsa, alle 11, dopo l’incontro intimo, osservò il letto disfatto, teatro della loro stretta. Come al solito, non provava una cosa nitida, ma mille intrecciate. Non era né soddisfata né insoddisfatta. Percepiva tutta l’energia insieme a una vitalità estrema, come motore del momento nonostante il «risultato» non fosse quello scontato. Rapporto travagliato, a volte incerto sul proseguimento.

Tuttavia, Jorge e Anemone trovavano una specie di continuità qualora non fosse il cosiddetto equilibrio raggiunto in una coppia, e il rapporto andava avanti così.

Anemon tirava i fili. Non più quelli dell’equilibrista che era stata una volta, ma quello rosso della propria biografia e del suo modo di portare avanti la vita. Oggi, anziché disperarsi per così tanta frustrazione e dolore per l’infortunio della sorte, contemplava l’energia che metteva in tutto. La stessa energia di prima. Per poi stare in bilico… Però senza tormento inutile. L’accettazione, e «l’espoir adapté1».

Era la sua nuova filosofia di vita, messa in pratica.

Un’ora e mezza dopo l’incontro con Jorge, Anemone si ritrovò dai suoi genitori per un pranzo domenicale in famiglia; tuttavia i due fratelli, Gianpaolo e Claudia, erano ancora in strada, sempre in ritardo.

Con cadenza decisa, si udiva il ticchetio delle scarpe sull’asfalto che avevano un tacco duro forse anche col ferretto che si mette sotto per non consumare la scarpa2.

E naturalmente questo ticchettio per Anemone significava tanto. Pur non essendo con i suoi fratelli in quel momento, lo sentiva nitidamente.

Gianpaolo aveva l'abito curato della domenica in famiglia, pantaloni con la piega centrata lungo la gamba, sciarpa portata sciolta lunga (regalo di Natale), l’impermeabile classico marrone chiaro.

Disse a sua sorella Claudia:

- Sbrigati, siamo in ritardo!

- Ahhh, l’H che abbiamo aspettato per troppo tempo … non capirò mai cos’hai con questo autobus, aspettarlo come il messia… ti avevo detto che a piedi fin dall’inizio avremmo fatto prima - rispose Claudia, un mazzo di fiori in mano calda umida, cappelli raccolti non impeccabili, però belle scarpe anche lei, accessori femminili e vivaci su una mise classica, abito di lana biancastro con collant biancastro di lana.

- Vabbè, senti, Anemon sarà già li, sai, ho sempre un po’ di ansia riguardo alle sue reazioni… tu, invece?

- Per nulla!

- AH.. Pero l’altra voltà…

- Sì, ma non conta, stavo per… non avevo dormito…

- Lo so, lo so… però insomma! Anemon… sempre quest’impressione che ci guarda il fondo dell’anima, di ognuno di noi, no…

- Sì, è vero, LEI è profonda, sai…

- Cosa insinui?

- Guarda che il gelato così si sciogle, non bloccarlo contro il petto…

- Uffa!

Per i tre fratelli, l’intesa era sempra stata in bilico. Genitori insicuri, non affettuosi, ognuno per sé, e in effetti, ognuno si era costruito così, un po’ in sopravvivenza frettelosa, con l’autostima sempre in bilico. Tra di loro oramai c’era un gran pudore nelle manifestazioni affettuose e anche un certo astio, a loro insaputa, consolidato nel tempo, con le vicissitudine della vita.

Questo pranzo domenicale non ebbe mai luogo.

Quando i due fratelli arrivarono, la casa non c’era più.

Al posto, c’era un campo di fili per stendere i panni. Anemon era seduta sulla sua sedia, che gallegiava, a cavallo, su uno dei fili, e stava massagiando i genitori, l’uno dopo l’altro. I genitori erano piccoli, rimpiccioliti, in indumenti intimi.

Indifesi, erano. Con un mezzo sorriso in bocca, lo sguardo sperduto nonostante il bagliore lampeggiante negli occhi, insicuro.

Supini su piccoli materassi pneumatici sospesi tra i fili, Anemon massaggiava la nuca del padre, le braccia della madre, la schiena, le ginocchia, e così via.

L’emozione era al colmo, tuttavia non come quella di lì, sotto, stracolma di pensieri, micro tensioni e barriere all’infinito.

L’aria era calda e profumata, con un odore che cambiava in media ogni tre cinque minuti. Una «playlist» di profumi. Le transizioni tra i profumi erano perfette. Il «top one» atemporale della cioccolata calda, zucchero filato, burro salato sciolto su pane tostato, legno un po’ umido bruciato, foglie bruciate, erba e terriccio dopo la pioggia, rosa candida, camelia, pesce alla braccie, iodio del oceano con algue e scogli, panni lavati con detergente di buona fattura, profumi di grande classe e voluttà di quelli che ti fa inseguire la persona e perdere la testa, anche anni dopo …

Un po’ di champagne marca «24/7» partecipeva a quest’atmosfera, completamente inedita. I gesti di Anemon non erano sicuri, come la sua voce che essa stessa non riconosceva. Andava a tastoni, consapevole che potessero cadere tutti, da un istante all’altro. A mano a mano, tuttavia, finalmente i genitori si rilassarono, colpiti dal calore del massaggio della figlia, e sopratutto della sua costanza e sicura perseveranza. Non sapevano di essere osservati da Gianpaolo e Claudia, occhi sgranati, soffio in petto, spaventati, anche dall’assenza della casa.

. Ora capisco che lei sia stata sempre un po’ strega, alla fine. Voglio dire, non data da «ieri», in realtà.

- Zitta. Ho paura per papa e mamma. Vogliamo chiamare la polizia? Qui c’è follia, eh, non è per niente NORMALE…

- OHI!!! Venite!!! Claudia, Giampa!!! Avete un bel gelato, dopo il massaggio ci vuole un dolce. Poi con tutta questa simfonia di profumi… Salite pure!!!

La voce di Anemone era ridente. I fratelli, in bilico tra rimanere nella loro realtà (però molto a disagio) o obbedire alla sorella pazzarella, vollero pensarci un attimo. Scese allora il terzetto da lassù, e tutti e tre abbraciarono i fratelli Claudia e Gianpa, a lungo. La casa allora riapparve.

Blandine Arondel

 

1speranza adatta. «Espoir adapté» ultima canzone dell’album «plan B» di Grand Corps Malade, e colonna sonora del film «Patients», del medesimo cantautore e regista.

2Nota della narratrice: Sì, siamo negli anni 90, oggi questo ticchettio preciso di scarpe purtroppo non lo sento quasi più. Tutto è molto asettico, ortopedico, gommato.