Delia

La piccola sveglia sul comodino in legno suonò. Erano le 5.30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l’alba della sua città sapeva creare.*

Tutto intorno a lei sembrava risvegliarsi come sempre.

La luce del sole si posava sulla foto appoggiata sul comodino, fino a rischiarare esattamente metà della cornice: l’ora era esattamente quella di ogni mattina.

Era pronta per cominciare un nuovo giorno, quando avvertì qualcosa di insolito. Avrebbe preferito pensare allo strascico di un sogno ad occhi aperti; invece no. Ne era certa: non era sola nella stanza.

Questa sensazione la accompagnò anche quando l’incantesimo del silenzio si spense con l’acqua della doccia e il brontolio della moka.

Frugò ancora una volta intorno a sé, ma no … quella strana impressione non

l’aveva ancora abbandonata.

Ecco … luce, rumore, oggetti; era tutto al solito posto ma … un odore indefinibile - oramai ne era sicura – Sì, quello non apparteneva alla sua casa!

Allora si fermò e chiuse di nuovo gli occhi per concentrarsi meglio. Voleva cercare negli angoli nascosti dei suoi pensieri ulteriori indizi.

Venne investita da una sensazione improvvisa di benessere e serenità, ma non riusciva a “vedere” nulla che potesse aiutarla a risolvere l’enigma.

Decise, quindi, di immergersi di nuovo nel tran-tran quotidiano (per esperienza, insistere nella ricerca di una spiegazione avrebbe significato di certo allontanarne la soluzione) e prese le chiavi di casa per portare a passeggio Milo, che già scodinzolava implorante da un po’ con un lo sguardo perplesso per l’insolito contrattempo mattutino.

Ma quando si accinse ad aprire la porta di casa per uscire, venne investita da

un’altra strana sensazione racchiusa nel bagliore di un attimo. Era la solita luce quella che si posava sui fiori alla finestra del pianerottolo, ma il pulviscolo che “nuotava” nell’aria sembrava arrestarsi improvvisamente intorno ad uno spazio ben preciso.

Fu una folata improvvisa di vento, che le impedì di respirare fino in fondo quell’immagine. Ebbe allora l’istinto di scappare, ma si voltò ancora una volta: il vento era cessato, ma lo spazio impenetrabile era ancora lì … e si stava muovendo!

Trasalì e, impaurita, cercò rifugio in casa, ma fu del tutto inutile: era certa che

quella presenza indefinita si trovava ancora accanto a lei.

Milo invece, divertito, aveva seguito la scena senza scomporsi, deciso a non partecipare emotivamente neppure con un ringhio appena accennato.

Perché non la soccorreva amorevolmente com’era solito fare? Eppure il suo repertorio di affettuosa difesa era sempre stato molto colorito ed efficace nel mettere in fuga anche il più insistente malintenzionato.

Ebbe paura della sua stessa paura. Ma fu puro terrore quello che provò quando si trovò a passare davanti allo specchio dell’armadio nella camera da letto.

Non è chiaro se fu lo spavento ad aiutarla a ricordare per lenire in qualche modo la sofferenza provocata da quella visione. Comunque qualcosa “riavvolse” il nastro della sua vita che si fermò nel punto esatto di cui aveva bisogno, per colmare i tanti vuoti nei suoi ricordi.

Doveva comunque arrendersi all’evidenza: la donna che dormiva profondamente nel suo letto – come se fosse ancora notte fonda – era proprio lei! Era sempre lei, anche quella figura inconsistente ed eterea che aveva dato forma al pulviscolo illuminato dalla luce sul pianerottolo; ed era ancora lei quell’immagine che lo specchio si rifiutava di riflettere.

Solo Milo non si era lasciato ingannare.

L’immagine nello specchio ne era la prova provata: alle sue spalle, il letto “occupato” e ai suoi piedi, l’immagine del suo cane che – ostinato – continuava ad inseguire un fantasma.

Aveva la netta sensazione di aver già visto quella scena. Sì, era quello il punto esatto in cui si era fermato il “nastro” dei suoi ricordi.

Rivedeva sua nonna, appisolata nella poltrona in salotto e tutta la famiglia intorno a lei che oramai da giorni cercava invano il modo di destarla.

Il dottore li aveva rassicurati: “Sta benissimo, non dovete preoccuparvi”.

Si abituarono, così, a vederla lì, immobile, sfiorata solo dalla luce del giorno che le rischiarava il volto scivolando sul suo corpo fino a sera, per poi riprendere di nuovo il cammino il mattino seguente.

Un giorno, incredibilmente, figli e nipoti trovarono la poltrona vuota, così come la gabbietta del suo inseparabile criceto.

Non fu, però, davvero per nessuno un evento triste: la famiglia era già abituata alla sua assenza da quando si era “addormentata”.

E questo era tutto quello che le era tornato in mente. Non aveva altri ricordi che potessero aiutarla a capire come uscire da quella imbarazzante condizione, se non alcune parole che il dottore pronunciò in occasione di quella strana sparizione: “L’amore è vita e se il corpo è forte, può darsi che si stanchi di non sentirsi amato e allora si addormenta perché non può sopportare la noia di vivere. Il cuore però non si arrende. Decide allora di fare da solo: abbandona il corpo che lo ospita e si incammina a cercare la vita vera”.

Esauriti i ricordi, a questo punto, per risolvere l’enigma si trovò costretta a confidare nelle deduzioni.

Cosa avevano in comune le vite di due donne così diverse?

Sua nonna Delia, quando si “addormentò” aveva sessant’anni; lei, invece, poco più di quaranta. Delia aveva dedicato la sua vita ai figli, figli che lei non aveva avuto. Certo, quando si addormentò il “piccolo” ed il “grande” si avvicinavano entrambi ai primi “anta” e gli impegni lavorativi non lasciavano molto spazio alla vita familiare.

Anche lei aveva avuto amici ed amiche, ma erano ormai passati i giorni delle emozioni e della spensieratezza e quell’affiatamento, con il tempo, si era affievolito fino a ridursi a sporadiche visite di cortesia.

Ma ecco, di nuovo, riaffiorare la tentazione di “tirare in ballo” il cuore.

Sia per lei che per Delia, sì, il colpevole era lui. Ingordo, non gli bastava abitare in un corpo in piena salute, né aver evitato i patimenti che solitamente lo affliggono quando si affrontano problemi economici e neppure essere scampato a quelle rischiosissime pene che affliggono gli innamorati.

Avrà certamente pensato: “ed io che ci sto a fare? Ecco, è tutta colpa del corpo, ha troppa paura di morire per riuscire a vivere pienamente!”

Da piccola mi dicevano sempre che avevo ereditato da mia nonna il colore degli occhi, l’amore per gli animali, il divertente parlottare nel sonno ed una strana espressione interdetta al risveglio, come se tutti i sensi fossero protesi a scrutare i possibili eventi del giorno che andava a cominciare.

Ora però so con certezza che c’è qualcosa di più profondo che ci accomuna: quello che vedono i nostri occhi; quello che riveliamo la notte e cerchiamo ogni giorno al risveglio; quello che ci dimentichiamo di mettere nei gesti e nelle parole.

La soluzione era lì a portata di mano, non richiedeva prestanza fisica né una particolare abilità dialettica.

Nella stanza riconobbi il suo profumo di mughetto.

Riflesse nello specchio, vidi le mie labbra riprendere colore: stavo dicendo a Delia che le volevo bene mentre la sua mano si posava sul mio viso accarezzandolo.

Paola Dalla Verde

*incipit tratto da Se solo fosse vero di Marc Levy